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Civitaretenga e il suo territorio

La Fondazione Silvio Salvatore Sarra ha sede a Civitaretenga, antico borgo che domina l’altopiano di Navelli.

Il nome stesso “Civitaretenga” ci offre un’importante chiave di lettura storica se lo scomponiamo nella forma originaria, attestata a partire dal XII secolo: Civitas Ardingi (“la ‘città’ di Ardengo”). Le componenti del toponimo illuminano sulle due fasi storiche di questo territorio: quella antica e quella medievale. Per la prima, si deve tenere conto che l’attributo di civitas non è assolutamente una qualifica in senso urbano del centro medievale, ma il ricordo di un insediamento antico – vicus Incerulae – posto tra Civitaretenga e Navelli: questo, per la quantità di resti, poteva effettivamente far pensare all’esistenza, in passato, di una “città” (si pensi che nell’Ottocento il Bunsen identificò a torto questo sito con la città di Peltuinum); d’altro canto, è ben nota la tradizione di studi che, proprio sulla base del termine civitas, voleva identificare qui il centro fortificato vestino di Cingilia, espugnato dai Romani nel 325 (o 317) a.C. La seconda parte del toponimo è un nome personale, Ardingus, e specifica che il centro medievale apparteneva a (o era stato fondato da) questo personaggio, di cui alcuni documenti permettono di individuare le coordinate storiche. Dall’esame della documentazione monastica di Farfa e Casauria, infatti, si rileva l’interesse della principale autorità politica di Valva, rappresentata dal gastaldo Ardingus – di nazionalità franca – e soprattutto da suo figlio Remedius nell’acquisizione di territori posti nell’Altopiano di Caporciano-Barisciano e nella media Valle dell’Aterno. Tale acquisizione presuppone un controllo territoriale, ed è verosimile che questo sia stato messo in atto attraverso una fondazione castrense (siamo nella seconda metà del X secolo, agli esordi del fenomeno dell’incastellamento): forse è questa l’origine del nucleo più antico di Civitaretenga. Innegabile, del resto, la sua posizione strategica.

Individuare nel tessuto architettonico superstite i resti di questa supposta prima fase è molto complesso, in quanto il centro ha avuto una continuità di vita ininterrotta fino ad oggi, con continue aggiunte, modifiche, restauri determinati da esigenze abitative, militari o a seguito di eventi sismici (si pensi non solo al 1703, ma anche ad eventi precedenti storicamente attestati). Tale problematica è resa ancora più evidente dai crolli causati dal sisma aquilano del 2009, che ci ha privato ad esempio di quello che la tradizione di studi ha ritenuto essere l’elemento più risalente del centro medievale, la torre a pianta quadrata, di cui si è supposta una datazione al XII secolo. La lacuna tra il dato documentario sopra citato (X secolo) e quello architettonico potrà pertanto essere colmata solo mediante indagini archeologiche.

A fronte delle difficoltà nella leggibilità dei dati architettonici, disponiamo di numerose attestazioni documentarie: sappiamo così che nel 1092 Civita – qui definita Urbona forse per una cattiva trascrizione – dopo essere stata conquistata dal normanno Ugo di Girberto (cd. “Malmozzetto”), viene da questi restituita al monastero di San Benedetto in Perillis, a cui apparteneva insieme ad altri castelli della zona. Abbiamo poi le informazioni desumibili dal Catalogus Baronum, redatto intorno alla metà del XII secolo, dal quale si evince che il centro era spartito a metà tra due feudatari regi, di cui uno pertinente alla famiglia dei Collepietro. Sempre al XII secolo si datano le prime attestazioni delle chiese civitaresi, cioè Sant’Egidio – la principale benché collocata esternamente al centro abitato medievale – San Salvatore e San Giacomo: tutte in qualche modo controllate dal monastero di San Benedetto in Perillis, pertinente alla diocesi di Valva.

Proprio per questa pertinenza territoriale, la fondazione della città di Aquila nel 1254, ad interesse dei castelli dei contadi di Forcona e Amiterno, non vedrà la partecipazione di Civitaretenga e degli altri castelli del contado valvense, ed è solo con l’avvento degli angioini che parte di questi castelli, collocati nell’Altopiano di Barisciano-Caporciano, di Navelli e nella media Valle dell’Aterno, venne incorporata nel Comitatus Aquilanus, figurando nella tassazione del 1269 (Civitaretenga: 2 once; Navelli: 11 once). Si trattò tuttavia di un’annessione puramente amministrativa: a livello di gestione ecclesiastica, questo territorio rimase sottoposto alla giurisdizione del vescovo valvense, generando non pochi contrasti con il vescovo aquilano, principalmente per il pagamento delle decime.

In un catasto aquilano del 1414, Civitaretenga viene elencata nel Quarto di Santa Maria e vi si registrano 48 fuochi (Navelli: 99 fuochi). Nell’ambito della guerra aquilana del 1423-1424, all’interno delle lotte per la successione al trono tra angioini e aragonesi si inserisce la vicenda del condottiero perugino Braccio da Montone, inviato da questi ultimi a distruggere Aquila e il suo contado: sappiamo che conquistò in pochi giorni Civitaretenga (Navelli lo constrinse alla resa). La vittoria riportata su Braccio dagli aquilani determinò l’intervento di papa Martino V nel 1424, con la definitiva annessione – stavolta spirituale – dei territori ex valvensi alla diocesi aquilana. Sappiamo poi che la fondazione ad Aquila dell’Ospedale maggiore di San Salvatore, ad opera di San Giovanni da Capestrano, nel 1447, portò all’annessione di numerosi ospedali minori, di cui uno a Civitaretenga, forse collocato a San Giacomo, distante dal centro abitato e comunque lungo la viabilità. Dalle incisioni graffite nel 1478-1480 al di sopra delle pitture trecentesche e quattrocentesche di Sant’Egidio, siamo a conoscenza dell’imperversare, in quegli anni, di una epidemia di peste che le fonti aquilane definiscono pestis maxima: non è un caso che nel 1480 viene eretta, fuori dal centro abitato, la chiesa di Sant’Antonio, con ampi sotterranei (la data è incisa sull’arco del portale). Probabilmente era inizialmente dedicata a Sant’Antonio abate, invocato anche per la peste, costituendo forse un ‘lazzaretto’ per la popolazione di Civitaretenga. Sappiamo però che in un secondo momento la chiesa venne dotata di un convento, la cui costruzione fu patrocinata da Jacopo di Notar Nanni, notabile aquilano originario di Civitaretenga, e che nel 1498 l’intero complesso venne concesso da papa Alessandro VI al convento di San Francesco dell’Aquila: forse in questo contesto il santo titolare venne mutato in Sant’Antonio di Padova, coerentemente alla presenza di un ordine minore conventuale.

Nell’ambito delle guerre per la conquista del trono di Napoli tra le corone di Francia e di Spagna si colloca un’operazione di fortificazione di Civitaretenga, la cui testimonianza materiale è costituita dal puntone meridionale con la torre a pianta circolare. In questo contesto gli Spagnoli, vincitori, affidarono nel 1529 gli 84 castelli dell’ex contado aquilano a capitani di fiducia: Civitaretenga venne assegnata a Camillo Caracciolo, con titolo baronale. Nel 1554 diversi castelli, tra cui Civitaretenga, per morte dei possessori tornarono alla Regia Camera che, nel 1558, li cedette a Diomede Carafa, il quale a sua volta nel 1570 vendette Civitaretenga a Pompeo Colonna; nel 1587 Civitaretenga fu acquistata da Ettore Caracciolo e, pochi mesi dopo, da Ortensio del Pezzo. Con questo personaggio si inaugura il marchesato dei del Pezzo, che resteranno detentori del feudo di Civitaretenga fino all’abolizione della feudalità con le leggi napoleoniche del 1806. Da allora la storia municipale di Civitaretenga risulterà intimamente legata a quella di Navelli.

All’interno di questo generale quadro storico si inseriscono vicende architettoniche note (ad esempio, la riedificazione di San Salvatore, a seguito del sisma del 1703) e altre ancora problematiche nel loro inquadramento (la costituzione del cd. “ghetto ebraico”), così come vicende economiche (il commercio dello zafferano e della lana, sulle piste della transumanza, a partire da una prima organizzazione cistercense, poi celestina, quindi con l’intervento di Alfonso V e le successive reintegre). Tutto ciò che possiamo vedere e conoscere è solo una piccola parte di un immenso patrimonio, che vi invitiamo a scoprire e rispettare.

Serafino Lorenzo Ferreri

(Sapienza – Università di Roma/ Fondazione Silvio Salvatore Sarra)